Buon salve bookspediani.
Sono un po' in ritardo, lo so, ma oggi vi voglio parlare un po' di come è andato l'incontro a Milano con Jay Kristoff e riportarvi un paio di domande fatte all'autore, che è una persona davvero super disponibile, paziente e gentile!
Come ben sapete, il tre settembre è uscita in Italia l'intera trilogia di Nevernight, una serie di cui ancora si parla e che si è certamente rivelata all'altezza delle aspettative. In occasione della sua pubblicazione e del tour promozionale relativo al terzo libro, Jay Kristoff è venuto anche in Italia e io ho avuto la fortuna di partecipare all'incontro organizzato da Mondadori a Milano. La tensione era davvero alle stelle, capita sempre quando ti trovi davanti un autore che stimi e a cui sei affezionato e che è alto più di due metri, ma fortunatamente lui si è rivelato una persona davvero fantastica, che ci ha dedicato davvero tantissimo tempo e ha risposto a tutte le nostre venticinque domande, facendo foto e autografi con tutti, regalandoci una giornata indimenticabile. Per quanto riguarda l'intervista ho deciso di non riportarvi tutte le domande, ma quelle che ho trovato più interessanti, per cui eccomi pronta a portarvi le sue risposte!
1. Partendo dall’inizio, come è nato l’idea del mondo di Nevernight e come si è sviluppata nei tre volumi?
Tutto è iniziato con il personaggio di Mia, sicuramente i lettori si innamorano dei personaggi e non delle parole e quindi ho iniziato a esplorare questo nuovo personaggio. L'ispirazione è venuta una sera, la vigilia di Capodanno, quando due mie amiche (non fidanzate, sono sposato) hanno iniziato a litigare su una parolaccia che in inglese inizia per "C", se fosse offensiva o meno. Rimasi volutamente fuori dalla discussione, ma ero interessato alle reazioni e ai punti di vista delle mie amiche. Ho iniziato poi subito dopo a scrivere la scena che c'è alla fine del capitolo 5 del primo libro dove appunto Mia e Tric discutono su questa parola. A quel punto ancora non sapevo chi fosse Mia, però sapevo che volevo saperne di più e scoprire chi fosse. Io sono molto appassionato di Storia Romana, mi sento addirittura un nerd su questa materia, in particolare della dinastia Giulia. Sapevo che potevo prendere in prestito molto da questa Storia e in particolare dalla storia e dalla figura di Giulio Cesare, un generale che si è ribellato contro il senato.
La sua ribellione ha avuto successo ma mi sono sempre chiesto cosa sarebbe potuto accadere se questa ribellione non fosse andata a buon fine, cosa sarebbe accaduto alla sua famiglia ed è nata la storia di Mia.
2. Quando hai finito di scrivere la trilogia cosa hai provato, ma soprattutto avevi idea del grande successo che avrebbe avuto?
Mi sono sentito triste, quando l'ho finita. Questa è la terza trilogia che concludo, ma non ricordo di essermi sentito così triste con le altre, ero sempre emozionato per la prossima storia (e lo sono anche adesso), però immagino che ci fosse più "me" in questa serie e in questi personaggi rispetto alle altre. Quando ho detto addio a questa serie è come se avessi detto addio a una parte di me. Sapevo che anche Mia significa molto per i lettori e quindi mi dispiaceva anche per loro. L'ultimo capitolo della serie è stato molto difficile da scrivere: il narratore parla della fine di questo viaggio ed è come se parlassi io ai miei lettori, come se io stessi dicendo addio alla serie. È stato difficile da scrivere, è come quando i genitori salutano i figli che vanno al college, iniziano il loro percorso nel mondo reale. Comunque sono molto soddisfatto dei libri, del finale e mi sono sentito triste, cosa insolita per me perché di solito ho il cuore di ghiaccio.
E no, non sapevo che sarebbe stato un così grande successo, anche perché quando la trilogia è uscita in inglese non c'è stato un lancio così grande come c'è stato qui in Italia, è stato più circoscritto e poi in due/tre anni il libro ha avuto un successo esponenziale ed è tutto grande a voi ragazzi che siete i miei lettori e che grazie a Instagram, Youtube e i blog avete fatto un grande passaparola, molto più grande rispetto alle altre mie serie. Anche solo consigliando la serie a un amico, avete permesso che avesse così tanto successo, quindi devo tutto a voi, grazie mille!
3. Qual è stato il momento più difficile da scrivere nell’intera trilogia?
Le scene di sesso! È stato molto strano pensare che mia madre, mia moglie, i miei amici leggessero queste scene nei miei libri. Sicuramente mia moglie è una delle critiche letterarie che stimo di più ed è la prima delle cinque persone a cui faccio leggere i miei libri prima di mandarli all'editore. Quindi scrivere queste scene sapendo che le persone vicino a me le avrebbero lette è un'esperienza che non avevo mai fatto: mia moglie con un gruppo di amiche legge molti romanzi erotici e quindi era come chiederle di fare un "best of" delle scene di sesso e per qualche tempo in casa era come leggere della pornografia. Di solito sono da solo nel processo di scrittura, invece per quanto riguarda le scene di sesso sentivo la gente sulla spalla che mi giudicava.
4. Ci hai mostrato in ogni volume una Mia diversa, ma secondo te quale tra i tre volti è quello che le si addice di più?
Ottima domanda, anche se è difficile rispondere! Non so se ci sia un vero volto di Mia, un suo vero volto. Sicuramente è diventata una persona migliore alla fine del terzo volume. Ha una migliore comprensione di chi è come persona e di cosa sia l'amore, perché in effetti nel primo libro c'è sì l'esperienza con Tric, ma non so se lei alla fine fosse davvero innamorata di lui. Nel primo libro Mia è concentrata sul suo obiettivo, non sa quale sarà l'impatto delle sue scelte, ma sa che ha una montagna da scalare, e non le importa cosa succederà dopo, sa solo che deve raggiungere il suo obiettivo. Nel libro tre invece ha una visione più ampia della vita e del suo stare nel mondo; è una persona più equilibrata e sana rispetto al primo libro, ma non so se quello sia effettivamente il volto giusto di Mia. In ogni libro Mia deve possedere quel determinato volto e diciamo che la cosa che apprezzo di lei è che non è mai scesa a compromessi, dal primo libro è sempre stata motivata dalla vendetta, dalla rabbia, dall'ingiustizia subita e continua ad esserlo fino alla fine.
5. Qual è il tuo personaggio preferito della serie, a parte Mia? E qual pensi che ti rappresenti di più?
Il mio personaggio preferito tra i secondari è senza alcun dubbio Mercurio, perché c'è tanto di me in lui. Alla fine i due personaggi in cui ho messo parte di me sono appunto Mia e Mercurio: Mia è il mio passato, è la versione di me teenager al femminile, mentre Mercurio è il me del futuro.
Nel terzo libro le linee iniziano ad intrecciarsi e cambia qualcosa, in quel momento subentra l'autore, molto più di prima e il narratore diventa molto più consapevole di star raccontando una storia, e il lettore diventa più consapevole che la sta leggendo. Diciamo che, in generale, nel terzo volume c'è molto di me, rispetto ai precedenti. Ci ritrovo molto la relazione che ho con il mondo, per quanto riguarda la mia esperienza personale. Se volete sapere come sarò tra venti anni allora correte a scoprire Mercurio.
6. L'ambientazione in un romanzo fantasy/scifi è molto importante e quella di Nevernight non fa eccezione. Quanto tempo ci è voluto e quali difficoltà hai incontrato per creare questa struttura così particolare?
Sicuramente l'ambientazione è fondamentale. Io però sono un tipo di scrittore che costruisce la storia e l'ambientazione strada facendo, quindi non avevo inizialmente una visione completa del mondo che stavo andando a creare. Sapevo che c'erano luoghi di cui volevo parlare, ma non avevo visitato nella mia mente tutta l'estensione dell'ambientazione. È un processo che segue il flusso della scrittura, sia per la trama che per l'ambientazione. Per quanto riguarda la struttura politico-religiosa che regola il mondo, di questo aspetto avevo una visione ben precisa, perché mi ero ispirato alla storia romana e alla sua repubblica, alla dinastia Giulia, quindi lì avevo un'idea ben precisa. Sono invidioso di quegli scrittori che sin da subito hanno chiaro quello che andranno a scrivere, io non sono così diligente, anzi a volte mi è persino capitato di cambiare strada: avevo intrapreso dei percorsi e poi alla fine cambiavo idea e mi toccava tornare indietro, dopo essermi reso conto di aver sbagliato.
Nel primo libro ho cancellato 80.000 parole, su 160.000, quindi in realtà avevo scritto un libro e mezzo, relativamente alla descrizione del mondo. Poi ho deciso di cancellarla perché non mi sembrava utile, ma non è stato un lavoro sprecato perché mi ha aiutato a informarmi sulla costruzione di questo mondo.
7. Quali influenze hanno contribuito a rendere il tuo stile di scrittura così originale e innovativo?
Per quanto riguarda gli scrittori sicuramente William Gibson, uno scrittore che usa frasi molto frammentate e a cui mi sono ispirato per il mio stile. Inoltre usa il ritmo della scrittura in modo molto intelligente, perché abbina il ritmo di scrittura al tipo di scena: se c'è una scena con molta azione allora usa frasi più brevi, mentre nelle scene drammatiche si sofferma sulle descrizioni e sui dettagli. È stato un'influenza grandissima per il mio lavoro e il primo scrittore che ho studiato a fondo per formarmi in quanto autore. Un'altra influenza per me è la musica: quando scrivo ascolto sempre la musica, non con le parole perché mi distraggono, ma uso musiche che evochino quello che scrivo. Adoro Ludovico Einaudi e abbino anche qui i ritmi che la sua musica ha a quello che sto scrivendo.
Anche le colonne sonore dei film, quelle orchestrali: ad esempio quando ascolto la colonna sonora di Avengers so che starò scrivendo una scena movimentata, piena d'azione. Le band che ascolto sono un'altra influenza che mi serve, perché le parole di queste canzoni evocano idee che possono essermi utili per la scrittura.
8. Come ti è approcciato alla scrittura? Come ha capito di voler diventare uno scrittore?
Il processo della scrittura è un processo a cui mi sono approcciato quando avevo circa 12 anni, iniziando a giocare a Dangeons & Dragons. Ho poi iniziato a lavorare nelle pubblicità, scrivendo i copioni per gli spot televisivi: in un certo senso raccontavo delle storie, anche se di 30 secondi, quindi storie molto brevi, però la struttura è la stessa del romanzo, con un inizio, un corpo e una fine, come se fosse un romanzo in miniatura. È stato un grande esercizio per me come scrittore, perché ho imparato a raccontare una storia in 30 secondi. Se si riesce a fare questo si è sicuramente in grado di farlo anche in 160.000 parole.
Quando tornavo a casa, però, ero stanco di scrivere per altri e a circa 35 anni ho iniziato a provare un'insoddisfazione nei confronti del mio lavoro perché stavo sprecando la mia energia creativa cercando di convincere i consumatori a comprare carta igienica o cereali per la colazione, quindi non ero molto soddisfatto, volevo qualcosa che fosse totalmente mio, un ruolo più importante di cui avere anche il controllo al cento per cento.
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